Nicola Niclass
Direttore del Coaching filosofico
In etica applicata
Sono nato in primavera. Ho studiato in Svizzera filosofia e teologia all'università per cercare di capire il mondo. Ho anche un diploma federale in gestione del personale. Le aziende sono fatte da persone, non da marche.
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I miei libri

Tutti i miei libri sono in formato Kindle o in brossura, disponibili su Amazon !

Eventi

18-22 maggio 2022
Salone del libro in città
Come forse saprete, alla fine di maggio si terrà il "Salon du Livre en Ville", che sostituisce il "Salon du Livre de Genève."

Da parte nostra, avremo la fortuna di avere uno stand con le altre case editrici distribuite da Heidiffusion (CousuMouche, Auzou, Plaisir de Lire e altre) da:

Da venerdì 20 maggio alle 15.00 a domenica 22 maggio alle 17.00.
Aucun événement prévu pour le moment.

Chi siamo

Biografia

Nicola Niclass è un filosofo svizzero. La sua specialità è il coaching filosofico in etica applicata. Ha conseguito la maturità professionale commerciale in un collegio cattolico. Ha lavorato in aziende multinazionali e ha conseguito l'attestato federale di gestione del personale. Ha studiato filosofia e teologia all'Università di Lugano. Ha ottenuto un'eccellente distinzione.

All'età di 25 anni crea la sua azienda importando prodotti cinesi. Introduce con successo il marchio "CBA" per il mercato svizzero. Quindi lavora nel settore finanziario e nella vendita di vini di lusso. La crisi del 2008 scuote i mercati internazionali.

All'età di 33 anni inizia a studiare filosofia. Il dialettico Nicola Niclass crea, nel 2017, una nuova società di coaching filosofica e di scrittura. Si associa con il noto artista svizzero Gilles Rotzetter.

I suoi concetti filosofici

Il pensiero è una caratteristica dell'individuo. Se l'uomo pensa, si interroga. L'amore crea il mondo. L'amore è vita. I ragionamenti rispettosi e elogiosi sono numerosi, ma è un'arte dire la verità e riconoscere i bugiardi.

La menzogna è spesso fonte di conflitto. Questo studioso denuncia i trucchi usati per ingannare il prossimo a fini commerciali. L'avidità e l'orgoglio sono alla base di atti immorali.

Le sue osservazioni sul comportamento dell'individuo nella società, gli permettono di sviluppare una metodologia di azione etica adatta alle sfide del XXI secolo. Ho il diritto di mentire per difendere i miei interessi personali ?

In ogni momento della nostra vita dobbiamo scegliere, e quindi fare "qualcosa". Le nostre esperienze e conoscenze ci aiutano a creare la nostra felicità.

L'apprendimento della vita influisce sui sentimenti. Questa educazione singolare influenza l'individuo nella sua vita quotidiana. L'essere razionale diventa un essere di passione e di desiderio.

Il seguente estratto dal libro della Società degli Scrittori "Coaching Filosofico" illustra alcuni pensieri del dialettico Nicola Niclass.

"Nicola Niclass esplora temi che riguardano tutti noi perché siamo gli attori della nostra felicità: agire, essere amati e sentirsi bene nel proprio corpo per essere in armonia con il proprio spirito. L'autore parte dal delicato tema della religione, che può aiutarci nei momenti difficili ma che, purtroppo, può anche distruggere la nostra libertà di ragionamento. Poi, con le sue parole ponderate, Nicola Niclass approfondisce vari concetti, aprendo diverse finestre su altri orizzonti di pensieri illuminati e umanistici. Come al solito, riesce magnificamente a offrirci molte chiavi per progredire con temperanza e saggezza nella nostra ricerca della felicità."

La sua visione della felicità

Ci vuole coraggio per essere felici perché ci vuole coraggio per essere se stessi. La risoluzione di intraprendere le azioni necessarie per una vita risplendente richiede energia e pazienza. Non è facile liberarsi delle cattive abitudini.

Per essere felici, dobbiamo anche interessarci agli individui. La felicità viene condivisa e diffusa. Colui che cercherà di soddisfare i bisogni degli altri, conoscerà i momenti più belli nella sua vita.

Il seguente estratto dagli " Scritti filosofici della Società degli Scrittori " espone alcuni dei ragionamenti del metafisico Nicola Niclass.

"Nicola Niclass non si limita ad analizzare le teorie illuminate di Maurice Nedoncelle, di William Dubois e d'Adam Smith, ma le approfondisce anche dal punto di vista filosofico, esplorando con saggezza le nozioni essenziali della vita. Questo autore allarga il nostro campo mentale offrendoci approcci diversi all'amore, alla felicità e all'economia"

Il concetto di felicità è spesso trattato da filosofi esistenzialisti e moralisti. Questo studioso descrive un'epistemologia della felicità facilmente applicabile nella stressante vita quotidiana del XXI secolo.

Chiede ai suoi lettori informazioni sulla loro esistenza. L'uomo contemporaneo agisce rapidamente, ma spesso a scapito della riflessione. L'immediato instaura una società stressante.

La sua visione della scrittura

La scrittura è un dialogo con se stessi e con il lettore. L'immaginazione e il pensiero acconsentono alla narrazione dello scrittore. La lettura è un lavoro su se stessi. La lettura permette di scoprire l'autenticità della propria anima.

L'insegnamento delle grandi saggezze contribuisce a un approccio più benefico agli eventi della vita. L'inconfutabile è inutile perché vietarsi certi argomenti di discussione non è degno della dialettica.

La scrittura può far cambiare le mentalità. Questo mezzo di comunicazione è potente. Può incoraggiare la pace così come la guerra e l'odio. Le storie dello scrittore Nicola Niclass coinvolgono il lettore. Li interroga. Li sollecita. Discute con lui sulle idee stabilite dai valori della società. Siete pronti ad affrontare i vostri problemi in modo diverso ?

La passione di scrivere

Scrivere è un'arte. Scrivere è leggere, correggere e modificare. Scrivere è accettare critiche costruttive e distruttive. Scrivere è un lavoro duro.

Raramente c'è gloria senza lavoro. È raro che un bestseller sia un fallimento. Lo scrittore modifica e perfeziona la sua redazione. Controlla ogni frase e la concordanza del suo saggio.

L'artista della penna deve imparare a gestire il proprio tempo e a comportarsi come un uomo d'affari. Deve vendere i suoi manoscritti. Deve lavorare sodo per farsi conoscere da editori, distributori e librai. Presenterà inoltre progetti editoriali a fondazioni che sostengono la cultura.

I lettori determinano la grandezza della parola virtuoso. I lettori sono il mercato e il mercato determina il successo o meno di un libro.

Scrivere è una professione. Si tratta di una professione in costante evoluzione a causa del rapido sviluppo dei media digitali e tecnologici. Internet offre ai consumatori incommensurabili opportunità di informarsi sul vostro lavoro e su di voi. Internet ha incoraggiato l'autopubblicazione di libri cartacei e di libri elettronici. È consigliabile acquisire competenze di marketing digitale per aumentare le vendite.

La scrittura è una professione creativa. Scrivere è rispettare i lettori. Scrivere significa rinnovare costantemente le proprie conoscenze, abilità e know-how.

I suoi generi letterari

La sua formazione religiosa e filosofica è evidente nelle sue prime opere. Gli scritti di  "Saint-Augustin" e i miti di "Platon" lo hanno guidato nella creazione delle sue prime opere. I suoi studi lo portano a scoprire pensatori come l'afroamericano "William Dubois" o il teologo "Maurice Nédoncelle".

Il dialettico Nicola Niclass si orienta verso la raccolta di racconti. Si ispira di eventi reali per creare i suoi personaggi e le sue storie. Combina perfettamente eventi di fantasia e eventi reali. L'atmosfera speciale delle sue storie testimonia del talento dell'autore.

La collaborazione con l'artista svizzero "Gilles Rotzetter" gli permette di scrivere il saggio della saga di "Yahmatto". Quest'opera è "un libro in cui voi siete l'eroe". Alla fine dei paragrafi, il lettore è costretto a fare delle scelte. In un certo senso, compone la propria storia.

– Chi investe nella felicità, vive felicemente." Nicola Niclass

" – Esiste una legge naturale, prima o poi ci si confronta con la realtà." Nicola Niclass

" – L'anima e il corpo sono legati dall'amore per la vita." Nicola Niclass

Articoli di stampa

La società dei fiori recisi di Roberto Cotroneo

Corriere del Ticino - 3.12.2020

La riflessione

Dopo anni in cui si è sbandierato che una solida formazione non era così indispensabile, che il mondo moderno avrebbe trovato una via di uscita in altre cose: nel web, nel futuro, ogni tentativo di recupero sembra perduto, soprattutto se si pensa di continuare a coniugare cultura e successo.Sono molto arrabbiato con le piattaforme che pagando mi permettono di vedere film e serie. E per spiegarlo voglio cominciare da un’altra parte. Prendo atto che iniziano ad arrivare i libri del lockdown. Quelli che ti spiegano cosa devi leggere, cosa devi vedere, come devi passare il tempo, come renderlo migliore, e tante altre cose. Sono già una decina e non si può dire che siano tutti irrilevanti, alcuni sono scritti da persone degne di rispetto, ma non ne citerò neanche uno perché la trappola è davvero infida.Il punto vero è che si dovrebbero scrivere i libri non su quello che si può fare oggi, in condizioni dove ci sono più o meno ampie restrizioni. Ma su cosa si doveva fare prima. E non si è fatto. E adesso quello che non si è fatto rotola addosso a tutti. E non serve dire: impariamo a usare le parole, a valorizzare l’italiano, oppure leggiamo i classici che si servono, o anche, facciamo un tour virtuale dei capolavori dell’arte. Nutriamo, in tempi difficili lo spirito, e ne usciremo. C’è persino chi invoca la filosofia come via di uscita dall’età dell’ansia in cui ci troviamo tutti. Ma è davvero così? Davvero la filosofia serve a sopportare meglio i momenti di difficoltà? Davvero i classici aiutano? E leggere Leopardi può rendere più sopportabili queste giornate che sono più lunghe del solito. Davvero l’arte ci renderà più ottimisti, più ancora, o quasi quanto, l’arrivo di un vaccino?

Le radici perdute

In realtà siamo mettendo dei fiori nei vasi dimenticandoci che i fiori recisi non si possono mettere in un vaso e sperare che la pianta cresca, che faccia altri fiori. I fiori recisi restano fiori recisi. E dopo un po’ appassiscono. Non andavano recisi, andavano tenuti nei vasi con tutte le radici, e le radici le abbiamo dimenticate, abbiamo pensato che non servissero. Che la cultura non fosse così indispensabile, che il mondo moderno avrebbe trovato una via di uscita in altre cose: nel web, nella modernità, nel futuro, nel tempo che verrà. Tutti rispettano la cultura, nessuno si sogna di dire che i libri non siano utili, e che i musei non siano una gioia per gli occhi, e la musica una meraviglia che ci deve accompagnare e guidare, nutrendo la nostra sensibilità. Ma nessuno ci crede davvero.
Soprattutto da quando a queste bellissime intenzioni abbiamo aggiunto il termine: “mercato”. E in un secondo tempo abbiamo
aggiunto i like dei social network. Cosa conta davvero? Il successo. Conta che quei musei, quelle mostre, quella musica, quei libri, e persino quella filosofia, e anche la fisica siano “di successo”. Se non piacciono qualcosa non va. Qualcosa di sbagliato c’è di sicuro.
Se non piacciono bisogna riavvolgere il nastro e ricominciare in un altro modo.

Narcisismo culturale

Adesso si dice: saranno gli artisti, saranno gli scrittori ad aiutarci. Sì, ma quali? Quelli che scrivono più di un libro l’anno e che hanno sempre il romanzetto buono per questi tempi grami? Sì, ma quali musicisti? Quelli che mandano sulle piattaforme brani facili che ammiccano allo stare tutti uniti, allo stare tutti assieme. O i fisici che portano i capelli come lo scienziato di Ritorno al futuro e più che spiegare la fisica dei Quanti mostrano loro stessi? E ancora: sì, ma quali? Quelli che adesso troviamo dappertutto a dirci che ce la possiamo fare? Gli psicologi che pontificano su come si “gestisce la paura”? Sono fiori recisi. E oggi invece servirebbero uomini e donne che in questi anni non hanno grattato il fondo del barile del narcisismo culturale. Non serve leggere Leopardi se per trent’anni hanno ripetuto che sì, i classici vanno bene, ma l’ultimo best seller da presentare in televisione era meglio. Se i talent di musica, con
sempre gli stessi giurati che dicono sempre le solite cose, non si fossero sciolti come neve al sole.Ogni tanto qualcuno grida al miracolo per una serie. Ma io, ed è qui che mi arrabbio, non riesco a vedere un film di François Truffaut su nessuna delle piattaforme a cui sono abbonato. Non dico un film di Danis Tanovic, regista affascinante, che non ha il ruolo nella storia del cinema che ha avuto Truffaut. Dico che non c’è verso di trovare niente, la “nouvelle vague” è ormai solo una voce Wikipedia.
E non riesco a rivedere un film di Luis Bunuel, in queste serate dove non puoi uscire quanto avrei voluto trovare Il fascino discreto della borghesia. Ma questi film non ci sono. Non c’è il passato, non c’è la qualità. Non trovi neppure Federico Fellini, non trovi Roberto Rossellini, non trovi Robert Altman (Tre donne chi può mai rivederlo?), e l’elenco sarebbe lunghissimo. Perché? Perché non sono prodotti commerciali. Perché le serie, certo le serie sempre belle, bellissime ma sono fiori recisi. Senza radici. La memoria dove è finita? Oggi, che la memoria è l’unica difesa per sopportare questo mondo che ci è toccato?

La rivincita del digitale di Roberto Cotroneo

Corriere del Ticino - 24.12.2020

La riflessione

Qualche anno fa c’era chi ipotizzava la morte del libro cartaceo a beneficio degli ebook – Una previsione rivelatasi infondata che non ha impedito al mercato telematico di svilupparsi e di diventare altamente concorrenziale a quello tradizionale. Da più di trent’anni leggiamo sui giornali i consigli di lettura di Natale e quelli di Ferragosto. È del tutto normale. Fa parte di una sorte di tradizione. Si scelgono le strenne, i libri appena usciti e si dice quali si possono mettere in valigia, quando si potevano fare
serenamente le valigie, quali sotto l’albero, con pacchetti oro e rossi, quali portarsi persino nelle isole deserte. Alcune volte i consigli sono anche messi nell’ordine de prezzo: seconda della capacità di spesa. I libri dunque assai costosi, quelli piccoli, i regali che piacciono sempre, gli evergreen, e via dicendo. Se si raccogliessero tutti questi articoli in una antologia o in un solo volume avremmo certamente uno spaccato interessante della storia dell’editoria di questi ultimi decenni.

La memoria della carta

Ora, noi sappiamo che gli ebook non ce l’hanno mai fatta a entrare nel mercato come si credeva sarebbe accaduto. Nessuna corsa al Kindle, e neppure verso altri dispositivi. Molti che possiedono un tablet hanno anche le applicazioni per leggere i libri, ma di fatto, il cartaceo e rimasto il punto di riferimento per tutti. Umberto Eco, che aveva scritto molti anni fa un delizioso breve saggio intitolato La memoria di carta, diceva che in fondo il motivo era semplice: si trattava di un confronto di tecnologie. Da una parte la tecnologia del libro, che esiste da più di 500 anni, che funziona alla perfezione, non ha bisogno di pile di ricarica, ha dei comodi indici in fondo, per
sapere a che pagina sei puoi usare dei creativi segnalibri, dura moltissimo senza dover aggiornare i formati elettronici in cui il libro è riprodotto, ed è una garanzia. Dall’altra un oggetto più macchinoso, dove sfogliare da pagina dieci a pagina cento è davvero complicato, che va messo in carica, che non ti permette di annusare la carta, e tutte queste belle cose. Solo che negli ultimi mesi,quella piccola quota di mercato degli ebook rimasta ferma e inchiodata in favore del tradizionale libro cartaceo si è mossa ed è quasi raddoppiata. Le vicende di quest’anno, con la scarsa mobilità, ho portato da un lato a riprendere in mano i vecchi volumi di casa, le biblioteche di famiglia, dall’altro a frequentare di più le librerie (non si erano mai viste le code davanti a una libreria eccezion fatta, nel passato, perle uscite dei volumi della serie di Harry Potter) e dall’altro ancora molti si sono rivolti all’ebook.

Questione di prezzo

Ma c’è una cosa che gli ebook possono vantare rispetto al libro cartaceo, e forse è l’unica. Anche l’edizione più economica di un libro stampato ha un prezzo, magari piccolo, trascurabile, ma c’è. Gli ebook possono essere gratuiti, e di solito quelli gratuiti sono i classici fuori diritti. Su Amazon, per il Kindle, ci sono molti titoli che si possono scaricare senza pagare nulla, e spesso, sono assai meglio di molti volumi stampati soltanto per mandarli sui banchi a Natale, o per sperare possano diventare dei best seller. Libri che durano da decenni e soprattutto da secoli, testi che spesso possiamo avere in una versione cartacea, ma ancora più frequentemente non abbiamo mai comprato perché sono inseriti in costose e non facilmente trovabili opere complete, Ecco dunque cosa si può fare, in queste strane vacanze di Natale, dal proprio divano, senza spendere nulla. E cosa si può scoprire nel tesoro della letteratura.
Cominciamo con Giacomo Leopardi, Diario del primo amore è un celebre trattato sulla passione che andrebbe letto e riletto. Forse uno dei libri importanti sui sentimenti e sulle contraddizioni dei sentimenti mai scritti. Per chi vuole un romanzo con cui passare i prossimi giorni c’è Italo Svevo con Una vita. Il primo romanzo dell’autore triestino che però già rivela la sua importanza. Per chi vuole andare sul classico dei classici, quelli che si tenevano nelle vecchie biblioteche può trovare l’iliade nella traduzione di Vincenzo Monti.
Ma ci sono anche il Decameron e La Gerusalemme liberata. Si trovano, se ci si vuole impegnare in modo particolare, anche le
Metamorfosi di Ovidio e i Sei personaggi in cerca d’autore di Luigi Pirandello. Naturalmente la Divina Commedia e l’Orlando furioso di Ludovico Ariosto, e per tornare a Leopardi I Canti. Non tutti i classici sono disponibili gratuitamente per il Kindle, ma sono assai di più di quelli che si immagina: si trovano in italiano, in inglese, in tedesco, in francese.

Una vera miniera

È un vero e proprio mondo, che si allarga in una maniera ancora più considerevole se si accetta il piccolo compromesso di spendere un paio di franchi, meno del prezzo di un caffè. Allora i grandi libri si trovano quasi tutti. Con 49 centesimi di euro si trova L’idiota di Dostoevskij, e con del doppio, 99 centesimi, c’è una buona edizione de La coscienza di Zeno, di Italo Svevo. E poi non dite che leggere costa troppo e la cultura ha sempre un prezzo. Perché non sempre è così. E il paradosso è che a non costare nulla, alle volte, sono proprio i libri più importanti.

Il Bene è un male in letteratura di Roberto Cotroneo

Corriere del Ticino – 10.06.21

La riflessione

Il politicamente corretto, che domina nella produzione libraria contemporanea, finisce per essere un danno per la creatività, privando gli autori di quell’elemento di rottura, di quella capacità di smontare il punto di vista comune che, in passato, è
sempre stata la loro forza. Walter Siti è uno scrittore importante. Ha vinto un premio Strega, ha curato le opere complete di Per Paolo Pasolini, ha insegnato a lungo in molte università. È uno scrittore importante ed è un intellettuale che non si è mai tirato indietro, ha sempre detto quello che pensava e lo ha fatto con autorevolezza e intelligenza. Da poco ha pubblicato un piccolo libro per Rizzoli che si intitola Contro l’impegno. Si potrebbe definire un pamphlet nel quale sostiene con forza una tesi non troppo condivisa, se non del tutto controcorrente. Il sottotitolo del libro è “Riflessioni sul Bene in letteratura”. E il Bene in letteratura è concetto assai complicato, ma ultimamente molto invasivo, indiscutibile. Un Bene che influenza il modo di scrivere degli autori, i libri che i nuovi scrittori presentano
agli editori, l’immaginazione letteraria dei prossimi anni.

Eccessiva omologazione

Cosa significa? Significa che il politicamente corretto non fa bene alla letteratura. E mi si passi il paradosso: proprio il Bene non fa bene alla letteratura. O meglio: l’anteporre questioni che di letterario hanno poco alla qualità narrativa, all’immaginazione di un autore, alla stesura di un romanzo, è negativo. Anzi, se un tempo la provocazione, l’originalità, l’essere controcorrente era condizione essenziale per il bene delle lettere, oggi è un qualcosa guardato con sospetto. Se un tempo la sperimentazione linguistica, l’ambiguità, il modo irrisolto di trattare i problemi e i temi, era certamente un valore, oggi non lo è. Walter Siti elenca, in modo spietato, i temi più alla moda, quelli che devono entrare a far parte dell’immaginario letterario: “Migranti, vari tipi di diversità, malattie rare, orgoglio femminile, olocausto, bambini in guerra, insegnanti eroici, giornalisti o avvocati in lotta col Potere, criminalità organizzata, minoranze
etniche”. Sono soltanto poche righe, ma spigano tanto. A queste poche righe fa riferimento il 99% dei nuovi romanzi che si scrivono, dei critici che recensiscono, degli aspiranti scrittori che vorranno mettersi al lavoro su un testo di esordio, o qualcosa del genere. Sono temi che spesso passano anche nel cinema, ma se il cinema è intrattenimento, è spettacolo – ed è indubbio che la lotta contro il potere, oi bambini in guerra o la criminalità organizzata hanno un aspetto visivo e drammatico, tale da attrarre gli spettatori -, per la letteratura c’è qualcosa di diverso, qualcosa che Siti sfiora nel suo saggio, ma che andrebbe approfondita. La differenza è tutta nei
due mezzi, assai diversi.

Le pagine e lo schermo

In questi anni si è creduto, e si continua a credere fermamente, che il cinema e la letteratura siano un po’ la stessa cosa. Il cinema racconta storie con attori, location, immagini, fotografia. Storie che si fanno spettacolo. La letteratura racconta storie sulla carta. Storie che non vediamo quando le leggiamo, ma che possiamo immaginare come fosse un film tutto nostro, un film della nostra mente. Ma le storie quelle sono. Una storia che va sullo schermo e una storia che va sulle pagine di un libro sono apparentate, anzi di più: sono due facce della stessa medaglia. È questo che credono in molti. Che differenza c’è tra cinema e letteratura? Che il cinema mostra le cose, e lo fa in circa due ore, la letteratura racconta senza limiti di tempo e le immagini bisogna trovarsele da soli. E siccome entrambi i mezzi raccontano cose che devono “intrattenere”, i temi indicati da Walter Siti, neanche a dirlo, sono quelli che attraggono di più. Solo che per distinguere la letteratura dall’intrattenimento dobbiamo elevare la letteratura, darle un senso, una missione, uno scopo. Per cui la letteratura, contrariamente al cinema, che ancora ha la facoltà di fare da cattivo maestro, deve indicare una via, educare, prospettare un mondo migliore, denunciare corruzione, soprusi e ingiustizia, rendere i lettori consapevoli. Contribuire alla crescita morale della società. Da alcuni anni è così. È buona parte dei libri che si pubblicano sono questo. Testi che in una maniera o nell’altra debbono salvare il mondo. Ma la letteratura non ha mai salvato niente, non è mai stata di esempio. Spesso gli scrittori erano canaglie che non avevano alcuna voglia di educare. Personaggi alle volte spregevoli che avevano in testa solo una cosa: smontare il punto divista comune, mettere il mondo in disordine, porre al lettore mille dubbi, capovolgere persino il cielo quando era necessario. E tutto questo andava fatto attraverso il linguaggio, la ricerca sulla parola. Restando ben lontani dal cinema, che era tutta un’altra storia e che poco a che fare doveva avere con la letteratura. Oggi il Bene in letteratura rischia di essere il male. E non solo per la qualità dei libri che si pubblicano, ma anche perché non c’è più immaginazione, solo stereotipi, politicamente corretti, di cui nessuno ha davvero bisogno.

Se l’editor vende solo illusioni di Roberto Cotroneo

Corriere del Ticino – 26.08.21

La riflessione

Quasi fossero degli estetisti della letteratura, i sedicenti professionisti delle agenzie che offrono servizi di correzione,
cosmesi e pubblicazione dei testi sono in realtà degli abili profittatori che fanno leva sulla vanità e sull’ingenuità di un esercito crescente di grafomani. Nell’ultima settimana Facebook ha deciso di inviarmi pagine sponsorizzate che in questa forma non avevo ancora visto, e che sono molto interessanti. Mi spiego meglio: per uno come me è abbastanza ovvio ricevere segnalazioni di pagine di tipo letterario. Cerco
spesso sul web testi che hanno a che fare con i libri, e l’algoritmo deve aver capito che sono una persona interessata al genere.
Qualche volta queste pagine sponsorizzate, ovvero nient’altro che delle pubblicità, o come diceva mia nonna réclame, vengono interrotte da prodotti diversi, ma solo perché ti capita di cercare un avvitatore a batteria, o magari un tappetino per lo yoga. Allora per qualche giorno sono subissato da proposte attraenti di cacciaviti elettrici che potrebbero svitare viti e bulloni della Torre Eiffel con una sola carica della batteria. Ma a parte queste varie ed eventuali, la sostanza dei prodotti che mi vengono proposti è sempre la stessa: agenzie, agenzie, e ancora agenzie, editori, editori, e ancora editori. La frase chiave è: pubblica il tuo libro.Ora, detta così non si tratta di una cosa nuova. Da anni esistono gli editori a pagamento, da anni c’è un’editoria che dietro pagamento della stampa, intesa come contributo alle spese, guadagna e lucra sugli aspiranti scrittori. Ne scriveva già Umberto Eco negli anni Settanta, e la chiamava “Vanity Press”. Ma tutto evolve, e ora il messaggio è assai diverso.Intanto l’invito è a rivolgersi ad “agenzie” e non solo a editori. L’agenzia contiene l’editore, l’editore non è detto che sia anche un’agenzia. Ma l’agenzia che cosa fa? Non ti pubblica il libro come accadeva negli anni Settanta, così, come l’autore, l’ha scritto, ma ti fa, utilizzando ormai una parola che è diventa magica: l’editing. Ovvero tu scrivi il romanzo della tua vita. Vai all’agenzia, l’agenziaprende il testo e, come se fosse un centro benessere, lo alleggerisce, lo abbellisce, toglie le parti che non vanno troppo bene, gli dà tono, lo rende più efficace e dopo te lo pubblica. Una cosa mica male. Non c’è più l’autore che mette su carta tutto quello che gli è venuto in mente, e vuole che quel testo esca esattamente in quel modo. E persino vorrebbe decidere la copertina.Adesso arriva qualcuno che, come una sorta di estetista della letteratura, ti dice: si accomodi. Guarda il testo, lo analizza, trova punti deboli e punti di forza. E poi come un mago della cultura trasforma il vecchio casolare in un albergo di charme.Peccato che siano solo illusioni alimentate anche da grafiche, questa volta, estremamente accattivanti. Foto in bianco e nero intense pubblicizzano questi servizi, lettering simile a quello di editori amati per la loro eleganza. Testi che provano a convincerti che lì da loro entri fuori forma ed esci che sei tale e quale all’attrice più pagata e amata di Hollywood.

Salto di qualità

Il trucco dell’editing è davvero interessante, perché è un nuovo salto. Nessuno fino a un paio di anni fa lo aveva mai pensato. Gli editing si facevano in case editrici importanti. Ci sono stati autori che hanno avuto l’onore di editing fatti da Italo Calvino, da Cesare Pavese, da Elio Vittorini, da Roberto Calasso, da Giuseppe Pontiggia, e si potrebbe continuare a lungo. L’editing è una cosa dolorosa, complessa, si tratta di discutere, di avere un’idea precisa del testo. Si tratta di mettere in campo le migliori forze di un editore che prende un testo bello, e lo rende ancora più bello. L’editing non è da tutti. Almeno fino a poco tempo fa.Le agenzie che ti dicono che fanno servizio di editing e pubblicazione tendono a non spiegare troppo bene chi ti farà questo lavoro, che ovviamente non è gratuito, ma è pagato, e anche in modo consistente e impegnativo. D’altronde se entri in una palestra per migliorare gli addominali non chiedi il curriculum del personal trainer. Non vuoi sapere se ha vinto la medaglia di bronzo alle olimpiadi nella ginnastica a corpo libero. E non ti interessa sapere se l’estetista che ti trucca il viso nel centro benessere era la truccatrice diSharon Stone o di Madonna. Ci vai paghi, e ti accontenti del risultato. Ma fare l’editor non è un mestiere per tutti, e la storia personale
conta eccome. Per cui restare generici sulle persone che metteranno – a pagamento – le mani sul tuo testo non è dettaglio. È la sostanza.Ma sembra che il nuovo core business della Vanity press non sia più il pubblicare, lo stampare le copie, e farsi pagare per quello. Ma sia l’abbellimento, la sistemazione del testo, come se l’editing permettesse miracoli inimmaginabili, come se un romanzo corretto possa cambiare radicalmente nelle mani di signori nessuno, peraltro, che guadagnano sulle spalle di ingenui autori. Un tempo lo scrittore della domenica era convinto di essere Hemingway. Oggi chiede tutt’altro, ma è soltanto una illusione. Che costa molto cara.

"Sono uno schiavo letterario" di Philippe Bouvard

Informazioni Immobiliari N°134 - primavera 2021
Tra coprifuoco e riconfinamenti che hanno messo la libertà di uscire all'aperto nella lista dei paradisi perduti, ho osato pubblicare il mio 67°* e ultimo (lo giuro !) libro. Le ragioni di questa decisione tardiva sono molteplici. In primo luogo, non avendo più nulla da dire, credo di aver esaurito tutti i modi per ripetermi, anche se con altre parole; in secondo luogo, il mestiere di scrittore o simile implica la contemplazione di un ombelico la cui scoperta è terminata da tempo ; in terzo luogo, tutto ciò che precede una pubblicazione è un duro lavoro. A questo si aggiunge il fatto che molti autori di capolavori si sono accontentati di un solo libro.

Tutto inizia con la ricerca di un soggetto e poi di un editore. Quando si lavora in libreria da diversi decenni, consapevoli di ingombrare le biblioteche più che di arredare le menti, si hanno avuti diversi editori. Vanno eliminati quelli con cui si è litigato, quelli che si sospettano di aver sottovalutato il numero di copie vendute e quelli che ritengono che la promozione sia da gettare alle ortiche. L'accordo può essere concluso durante un pranzo più o meno gastronomico, ma di cui sarà sempre l'editore a pagarne il conto. Tra le lumache e Parigi-Brest, si discutono le condizioni sono dicui. Vale a dire, il numero di pagine, la data di pubblicazione, la percentuale di vendita, nonché l'anticipo, che può andare da un semplice rimborso della carta annerita a una piccola fortuna e la copertina (con foto se avete già mostrato il vostro viso in TV). In questa prospettiva, tutte le opzioni sono possibili: caricatura, ritratto risalente alla prima comunione, immagine più recente ma ben ritoccata. Naturalmente, il destino delle  "opere precedenti dello stesso autore" è il fattore determinante del trattamento, così come la dimensione della tiratura in relazione ai successi passati, sapendo che la ristampa avverrà solo se si farà una buona impressione. Non dimentico l'apprensione per il fatto che a 91 anni si partorisce un bambino poco formato. Secondo gli specialisti, il titolo contribuisce per il 50% delle vendite. Potrebbe non avere nulla a che fare con la storia che racconta, ma non deve essere stato usato in precedenza. È quindi consigliabile consultarsi con le persone vicine prima di sceglierlo.

Sul tavolo della sala da pranzo o in capo al mondo

Poi ci si mette al lavoro. Con una vecchia penna o con un computer di ultima generazione. Sul tavolo della sala da pranzo, in ufficio o in uno spazio esterno affittato per non essere disturbati. È consentito anche andare a lavorare dall'altra parte del mondo se si è certi di poter rivendicare le spese di viaggio e di soggiorno come spese aziendali. Se avete rinunciato a scrivere per facilità o stanchezza, potete scegliere se dettare a una segretaria o a un apparecchio. Ma il registratore è molto meno sexy. Imponendovi una produzione giornaliera o tenendo conto solo della vostra ispirazione e del vostro coraggio, dopo un mese potrete tenere segreto l'inizio del vostro manoscritto o far leggere a qualche amico o familiare i passaggi che ritenete i migliori. Le settimane passano. L'editore diventa impaziente. Lo rassicuriamo inviandogli una copia di un capitolo. Il primo, se non si è andati oltre.

Qualche giorno dopo, il grande capo richiama per chiedere di partecipare a  "una riunione di commerciali". Vi trovate di fronte a una trentina di rappresentanti che sono molto disponibili se siete i primi a parlare, e al limite di un pisolino se parlate molto tardi. Avete circa dieci minuti per parlare con entusiasmo di una missione imposta dalla ricerca di un reddito comun o di risorse aggiuntive. Poi si ringraziano calorosamente per la loro attenzione questi intermediari, che communicheranno all'editore le "notés" elencando le intenzioni di acquisto prima della pubblicazione.

Quando la scrittura è terminata, non ci si può sottrarre alla rilettura di quelle che vengono giustamente chiamate bozze. Richiedono molta attenzione, un senso critico che eviti l'autocompiacimento e una collezione di dizionari. Si tratta di rintracciare la ripetizione di aneddoti e parole, gli errori sintattici e le scorrettezze. L'eliminazione dei passaggi superflui non comporta il rischio di trasformare un grande libro in un piccolo libretto. Fortunatamente, possiamo contare sull'aiuto di correttori di bozze in carne e ossa, molto più preparati delle loro controparti informatiche. Questi censori non lasciano più passare inosservato un errore di data così come un errore scientifico. Non si fanno scrupoli a consigliare l'eliminazione delle frasi che per noi erano le più importanti. O anche per aggiungere qualche riga di proprio pugno. Anche gli avvocati hanno voce in capitolo, dato che tutti gli editori temono le cause legali. L'autore è più indulgente nei confronti del proprio "succo di cervella" e si accontenta di farnle dei gargarismi. Il metodo migliore - ma lui non lo sa - sarebbe quello di usare lo stesso "gueuloir" con cui Flaubert apprezzava all'orecchio un testo destinato agli occhi.

In un riformatorio

In genere è nel momento in cui iniziamo a non gradire il nostro lavoro che appare l'addetto stampa. Una signora esperta che non si lascia impressionare perché conosceva Mauriac e Simenon. O una giovane donna che l'editore ha assunto non tanto per la sue competenze quanto per la sua minigonna. Ci sono cinque categorie di comunicatori : quelli che vedi una sola volta perché stanno scrivendo un romanzo infinitamente più appassionante del tuo ; quelli che giurano solo sulla televisione e a cui la scarsità di critici letterari sembra dare ragione; quelli che si rivolgono ai vecchi amici e non riescono a contattarne di nuovi ; quelli che riescono a ottenere la copertina a colori di una rivista importante ; quelli che fanno valere l'impresa di aver ottenuto dieci righe in un quotidiano di provincia. L'autore deve loro le interviste che spiegheranno, amplieranno o distorceranno il suo argomento e che verranno solo da quattro tipi di intervistatori : quelli molto impegnati che, non avendo letto il libro, si limitano a chiedere all'autore informazioni sull'attualità ; quelli indiscreti che sono più interessati alla vita privata dell'autore che all'esistenza dei suoi personaggi; quelli antipatici che non esitano a dire all'autore quanto poco piacere hanno provato in sua compagnia; quelli falsamente simpatici che prevedono che  "si può vendere, visto che oggi la gente compra di tutto". Dal modo in cui il presentatore prende il libro e lo mette giù, lo spettatore meno intelligente capisce che lo ha letto solo per sfamare una piccola famiglia. Prima di affrontarlo, abbiamo dovuto sottoporci alla prova del trucco e del selfie vicino al pompiere di turno.

In un'epoca in cui la distanza fisica non era ancora stata stabilita, non si poteva sfuggire alla sessione di autografi. Spesso accompagnati da un'amica incaricata di sillabare i nomi degli acquirenti. Si presentano allora due situazioni: o c'è una folla davanti allo stand e l'autore usa due o tre formule molto brevi e poco leggibili, oppure attira un solo cliente e, in questo caso, intrattiene con lui una conversazione interminabile per non apparire troppo solo. Coloro che desiderano una dedica a volte fanno richieste strane. Ricordo un brav'uomo che mi chiese di calligrafare sul frontespizio  "Alla mia cara mogliettina". Quando gli ho fatto notare che sua moglie non era la mia, si è allontanato, privandomi così di un'entrata di due euro e trentacinque centesimi.

Se l'instant book diventa superfluo di Roberto Cotroneo

Corriere del Ticino - 21.02.2020

Riflessione

Un fenomeno editoriale popolare, nato negli anni Sessanta ma che oggi, in un mondo dove i ritmi di circolazione dell'informazione sono sempre più brevi, mostra tutti suoi limiti, come nel caso dell'operazione che coinvolge Einaudi e le "sardine".

Cosa è diventata l'editoria da qualche anno a questa parte ? Fare libri è ancora un mestiere diverso dagli altri ? Oppure importa solo il mercato ? Non tanto cercare un buon lettore, ma trovare il più rapidamente possibile qualcuno che compri il libro, al di là di quello che si sta facendo ? Sono pensieri, ragionamenti, certo. Ma la mia perplessità viene da una parola che un tempo si usava quasi sottovoce e che oggi è diventata sintomo di un vizio : l'instant book.

Superficialità e imperfezione

L'instant book è figlio dell'editoria di massa. Nasce negli anni Sessanta, cavalca una tendenza, cerca di arrivare in tempo per parlare di temi che appassionano il pubblico. E siccome i tempi dell'editoria possono essere lunghissimi, l'instant è un prodotto rapido, lavorato in poco tempo, che non pretende di durare, anzi : non vuole e non deve durare nel tempo. E nella superficialità e nell'imperfezione ha i suoi limiti, e nel mercato i suoi punti di forza. Un tempo ne uscivano tanti di instant. Non erano libri importanti, perché avevano all'interno una data di scadenza. Passato il fenomeno, il libro finiva su qualche bancarella dell'usato, o nella libreria del solaio assieme ai volumi in vendita nelle edicole.

Non c'era nulla di male a stampare libri come quelli. Certo non lo facevano, e neanche se lo sognavano, i grandi editori di cultura. Erano cose da editore d'arrembaggio, o da grandi gruppi editoriali che oltre a pubblicare buona letteratura e classici avevano la cosidetta  "collana varia" dove stipavano di tutto, e che era vista un po' come la Cenerentola del lavoro editoriale. Una Cenerentola che aiutava nei profitti.

Cadenza frenetica

Però quello era un tempo dove l'instant book appariva come qualcosa di puntuale e veloce, una via di mezzo tra le cose che potevi leggere sui giornali e quelle dei libri pensati e scritti nei tempi necessari. Ci volevano sei mesi per mettere a punto un instant su un argomento di attualità : tra una scrittura tirata via, per usare un modo di dire, la stampa, la distribuzione e l'arrivo in libreria. Sei mesi in quel mondo di comunicazione ancora lenta bastavano a non fare invecchiare i temi. Oggi un instant book che esce dopo l'avvento di un fenomeno sociale, culturale o politico, rischia di non trovarlo più quel fenomeno : spolpato dal web, dai programmi televisivi, dalle continue informazioni a disposizione e infine dalla caducità di questo mondo contemporaneo dove tutto dura niente e il niente a sua volta impera. Oggi sono i romanzi importanti a durare solo tre mesi sui banchi di un libraio, figuriamoci i libri scritti per cavalcare una moda, o una tendenza.

Allora mi chiedo perché un editore autorevole come Einaudi, anche nella sua declinazione più popolare e giovanile, la collana Stile Libero, debba mandare in libreria un instant book scritto dalle sardine : il movimento che negli ultimi mesi ha catalizzato l'attenzione dei media italiani ed europei. Ora, vorrei chiarire che la collana Stile Libero pubblica spesso bei libri, autori importanti, e i volumi sono curati con serietà, attenzione. Vorrei anche aggiungere che, negli anni, Stile Libero è stata e resta una collana che ha aperto dibattiti importanti, che ha avuto come pochi altri attenzione per la contemporaneità culturale e letteraria. Ma allora perché un libro firmato dai quattro leader delle sardine ? Intitolato : Le sardine non esistono.

Strizzatine d'occhio

La frase che lancia il volume, in uscita a marzo, è questa : "tanti. Non importa se ci chiamano sardine. Potevamo essere storioni, salmoni o stambecchi. La verità è che siamo persone : migliaia di cittadini di ogni età che stanno riempiendo piazze, strade e sentieri dell'Italia intera". E ovviamente è piena di ammiccamenti, strizzatine d'occhio. La prima di tutte è al grande Lucio Dalla, bolognese come le sardine : "Siamo noi, siamo in tanti ..." Ed è l'inizio di Come è profondo il mare. E poi c'è una certa retorica delle piazze, dei cittadini, delle strade, e persino dei "sentieri". Sono frasi che si possono sentire alle manifestazioni. Fanno effetto e significano poco. Ammiccano e restano in superficie.

Ma oggi non abbiamo bisogno di parole in superficie. E neppure di sirene editoriali. Oggi abbiamo bisogno di silenzio e competenza. Silenzio nel lavorare seriamente per il futuro, con la competenza di chi sa cosa sta dicendo. Di chi ha studiato i problemi e sa analizzarli e trovare soluzioni. C'è bisogno di una classe dirigente che spesso sui libri pubblicati da Einaudi si è formata. E che oggi non esiste più. Come, e dal titolo si deduce, non esistono le sardine. Detto da loro stessi : ammesso e confessato. Libri che non esistono, movimenti che non esistono, sentieri che non si trovano più. E il mare in cui ci stiamo perdendo, parafrasando Lucio Dalla, è sempre più profondo.

Tra tablet e carta la lettura oggi è ibrida di Natascha Fioretti da Zurigo

LE CAFÉ - 16.02.2020

L'altro modo di leggere

I libri sono stati i miei uccelli e i miei nidi, i miei animali domestici, la mia stalla e la mia campagna ; la libreria era il mondo chiuso in uno specchio ; di uno specchio aveva la profondità infinità, la varietà, l'imprevedibilità (Jean-Paul Sartre). Anche oggi, in tempi di distrazione digitale, in cui le librerie si rinnovano creando spazi più grandi, articolati e accoglienti, ognuno di noi può rifugiarsi dal rumore cittadino per dedicarsi alla lettura, scoprire le ultime novità editoriali, lasciarsi sorprendere dalla varietà dell'assortimento, dalla molteplicità dei servizi o dai competenti consigli del libraio. E se manca il tempo o la voglia si può trovare tutto online su piattaforme digitali che non solo permettono l'acquisto ma intrattengono con contenuti e informazioni sul mondo editoriale : dal romanzo più letto negli ultimi mesi alle novità sugli scaffali, al libro più indicato per noi secondo i nostri gusti e le nostre abitudini. Della serie : ""Quello che vi offre Netflix lo trovate anche da noi!".

Appena fuori dalla stazione di Zurigo, verso la Europaallee che dopo mesi di lavori e cantieri, ancora non tutti terminati, mostra uno dei tanti volti moderni e cosmopoliti di questa città, c'è un crocevia  di persone. Camminano veloci con in mano una tazza di caffè prêt-à-porter ecologica, lo zaino in spalla, gli auricolari wireless colorati sotto il berretto di lana. Al numero 8, con grandi vetrine incorniciate da eleganti profili in legno, spicca la libreria Orell Füssli, la trentaseiesima in tutta la Svizzera, la decima soltanto a Zurigo, inaugurata lo scorso anno per I festeggiamenti dei 500 anni di attività del gruppo.

Gruppo che deve le sue origini a Cristoph Froschau che nel 1519 stampò e mise in commercio la Bibbia di Zwingli. L'attività di stampa e la casa editrice nel 1626 passarono alla famiglia Bodmer per poi essere rilevate nel 1766 da Rudolf Füssli che di lì a poco strinse l'alleanza con l'editore Orell e con la famiglia Gesner dando vita a Orell, Gessner, Füssli & Cie. Nel 1780 entrarono nel mercato della stampa scritta dando vita, Salomon Gessner fu uno dei grandi promotori, alle Neue Zürcher Zeitung. Il resto è storia. Dunque se, come scrive Gabrielle Zevin autrice del bestseller La misura della felicità, come una bambina insegnò ad un libraio ad amare i libri, "una città senza librerie è un luogo senza cuore", Zurigo, e non da ieri, ne ha diversi (di cuori) e non tutti targati Orell Füssli.

Vero è che la strategia di questa azienda, leader nel mercato editoriale e librario svizzero, è particolarmente interessante per la sua ricetta che in tempi di distrazione digitale sembra funzionare. Come spiega Simona Pfister-Flammer, membro di direzione del gruppo Orell Füssli Thalia Ag, gli elementi che concorrono alla scopo sono molteplici ma uno prevale su tutti : "Armonizzare e mettere in relazione la nostra offerta e i nostri servizi sul digitale e nelle librerie fisiche. Negli anni abbiamo sviluppato un'offerta multicanale che in qualsiasi contesto si trovino - digitale o fisico - permette ai nostri clienti di vivere esperienze uniche attorno al mondo del libro ".

Se entrate nel negozio della Europa allee che si estende su una superficie di 300 metri quadrati avvolti da una luce calda, arredati con tavoli e scaffali in legno chiaro, le pareti tinteggiate con tenui colori pastello, sarete colti dalla voglia di lasciarvi andare in una delle comode poltrone e darvi alla lettura senza più mettere il naso fuori. Oltre, naturalmente, ad un'ampia selezione di libri, notevole lo spazio dedicato a quelli in lingua inglese, qui si trovano oggetti di raffinata cartoleria, giochi e idee regalo, l'ultimo modello dell'e-reader Tolino e un lungo tavolo con vista attrezzato di prese per ricaricare pc e smartphone. E se il libro che state cercando non c'è, nessun problema, si può ordinare e lo riceverete a casa il giorno dopo. Se invece volete abbinare l'esperienza di lettura con un buon caffè, a Zurigo l'indirizzo che fa per voi è al numero 4 di Füsslistrasse, mentre a Basilea potete andare al numero 17 di Freie Strassee "le nostre librerie vogliono essere un luogo d'incontro e di sosta per trascorrere del tempo di qualità".

Nell'ampia geografia le identità librarie Orell Füssli si dividono in tre gruppi : le grandi librerie nei punti nevralgici delle grandi città, quelle più piccole nei centri o vicoli storici e quelle ad alta frequenza situate nelle stazioni e negli areoporti. In ogni caso ciò che si trova in libreria si trova anche online e viceversa secondo una formula inclusiva. "A dipendenza delle necessità i nostri clienti leggono il libro in formato fisico la domenica pomeriggio a casa, in formato ebook su Tolino o in formato audio se sono in viaggio sul treno - riprende Pfister-Flammer-. Oppure trascorrono del tempo sul nostro sito leggendo I consigli dei nostri esperti sulle ultime novità in libreria o si orientano con la nostra app. Quella che caretterizza I nostri clienti di oggi è una lettura ibrida che con agilità passa da un mezzo all'altro".

Scrittori in classifica di Michele Fazioli

Corriere del Ticino - 27.01.2020
Se a metà dell'800 fossero esistite le classifiche dei libri più venduti, non c'è dubbio che Charles Dickens (di cui si ricorda ora il 150. della morte) avrebbe figurato ai primissimi posti, a lungo. E con pieno merito, per successo e per qualità. Poi ci torno, su Dickens, ma prima voglio dire che le odierne classifiche dei libri più venduti sono comunque una pessima abitudine. Se sono maneggiate con cura da addetti ai lavori, esse sono utili quale indicazione di mercato dei gusti del pubblico : un editore, per sopravvivere, deve anche vendere, e dunque deve darsi da fare per salvare, se possibile, qualitä e portafoglio. Ma sventolare al pubblico lenzuolate di classifiche di vendite dei libri è una distorsione culturale. I pur ottimi inserti culturali del  "Corriere della Sera" e di "Repubblica" dedicano ben due paginate centrali ogni settimana alle graduatorie di vendita e cosi possiamo per esempio scoprire che un romanzo di Claudio Magris è largamente superato in classifica da un libro di Fabio Volo e da  "Tutte le Barzellette di Totti". Che senso ha ? E come se ogni settimana si pubblicassero le classifiche delle musiche più gettonate, con Albano e Romina che superano Paolo Conte e De Gregori, e Neck che vende più di Beethoven. Chiarito questo, aggiungo subito che farsi leggere molto, da parte di uno scrittore, è spesso segno di talento. Anche se non sempre. Capita che chi vende molto sia un autore mediocre ma furbo. Ma anche certi scrittori che non riescono a vendere credendo di essere incompresi, spesso non sono buoni scrittori anche se credono di esserlo. Citoun passaggio da un romanzo-saggio del sociologo Marc Augé :  "Non ho mai capito perché Nico (uno scrittore) non è mai stato invitato in televisione. Le vendite dei suoi libri sarebbero salite. Sai quante copie ha venduto del suo romanzo ? 752 ! Me l'ha detto una volta, aggiungendo che andava bene cosi. Ma anche se tenta di fare l'indifferente so che c'è rimasto male. Con tutto il tempo che gli ci è voluto per scriverlo, la pena che s'è dato ! Cosa vuoi, non è un libro adatto al grande pubblico. Ma perché allora non fa dei libri per il grande pubblico ? Scrive bene. Ne sarebbe capace, sono sicuro. Ma il signore è al di sopra di certe ambizioni comuni. Scrive per se stesso, non per gli altri. Chissà perché gli altri dovrebbero essere interessati "Augé ironizza sull'ambizione di uno scrittore, sulla forza consumistica della televisione e sull'eterno dilemma : scrivere per il pubblico o per il valore intrinseco, che magari sarà riconosciuto soltanto dai posteri (ma allora lo scrittore sarà già morto) oppure mai ? Per fortuna ci sono stati e ci sono scrittori che hanno saputo coniugare la qualità e l'attrattività, spesso con talento, talvolta con genialità : Dickens (rieccoci a lui) vendeva moltissimo ed era amato dal pubblico e lodato dalla critica. I suoi romanzi venivano pubblicati a puntate sui settimanali e ogni sabato mattina, quando il battello della posta attraccava sul Tamigi al porto di Londra, centinaia di persone si assiepavano per poter arraffare prima che fossero esaurite le copie del giornale con la nuova puntata del romanzo dickensiano. Charles Dickens è entrato nelle vene di almeno quattro generazioni britanniche e del mondo come una linfa di possente narrazione che ha creato legioni di febbrili lettori catturati da un mondo immaginoso di stupori, concitazioni, paure, commozioni, intenerimenti. Dickens dipinse con realismo visionario la realtà di una Londra fuligginosa e socialmente stridente, scrutandola negli anfratti bui delle sue povertà e miserie umane, orfani angariati e maneggioni avidi, furfanti volpini, personaggi comici, figure generose. Nei labirinti delle viuzze sporche della Londra ottocentesca, lungo le acque limacciose del Tamigi, nelle vecchie case misteriose, negli affollati tribunali e nel groviglio brulicante di figure popolari Dickens mette la sua grande sapienze narrativa e la sua arte scenica al servizio di un poderoso ritratto sociale. Forse ha anche delle forzature compiaciute e momenti ridondanti ma la potenza della sua scrittura squarcia il tempo. Questo non è mercato. E letteratura.

C'era una volta la libreria di Roberto Cotroneo

Corriere del Ticino - 23.01.2020

Riflessione

Un po' ovunque stanno morendo, uccise da un rapporto con la lettura radicalmente mutato negli ultimi cinquant'anni nonché da una tecnologia capace di offrirci tutto subito e a minor prezzo - Una rivoluzione inarrestabile che però ci lascia più poveri e più soli. Un tempo nella mia città c'era solo una libreria, gestita da un anziano signore che si chiamava Giuseppe. Aveva il bancone. Entravi, e al suono del campanello della porta lui appariva e ti chiedeva : "desidera ?". Tu gli dicevi quale libro volevi e lui prendeva la sua scala in acciaio cromato, di cui andava fiero, saliva, trovava il volume, scendeva incerto e te lo porgeva deferente. Un tempo funzionava così. Ma è preistoria. Perché poi si è passati dal libraio alle librerie. E non è detto che le librerie abbiano un libraio subito identificabile. Potrebbe esserci anche una persona che ti trova soltanto il libro. Era bello negli anni Sessanta scoprire che le librerie non erano più dei negozi di libri, ma degli spazi culturali. Dove muoverti, cercare, scoprire, sfogliare. Era un mondo nuovo. Potevi non sapere cosa avresti scelto, potevi entrare perché volevi un titolo preciso, e uscire con un altro titolo. Ma poi è arrivata la crisi. Il dato di questi giorni, diffuso dall'Associazione Librai Italiani è una tragica sentenza : sono 2'300 le librerie che hanno chiuso in questi ultimi cinque anni in Italia. E non sono soltanto librai indipendenti, ma cominciano a chiudere anche le librerie di catena. A Roma, ad esempio, stanno per chiudere due Feltrinelli.

Di chi è la colpa ?

Ovviamente i giornali discutono di questo, con legittima preoccupazione e dicono che è colpa della distribuzione, dei grandi editori, della legge sul libro che è ferma in Parlamento. E che è colpa degli sconti, che le grandi catene possono praticare e i piccoli librai invece no. E per ultimo, ma il più importante, che è colpa di Amazon, che pratica sconti ancora più alti, e che ormai ha più del 25% del mercato. E tutto vero. Ma prima c'è il mio libraio di Alessandria.  Quel vecchietto che saliva sulla scala. Quando arrivò la modernità tirò giù la serranda. Ma altri aprirono con regole nuove. Nella mia città diventarono sei o sette le librerie dove non dovevi chiedere ma entravi e sceglievi tu. E avevano tantissimi titoli. Il punto è che al di là di tutta una serie di problemi commerciali che hanno un peso, al di là degli sconti, che in periodo di crisi economica contano molto, ci sono due aspetti che pesano più di tutti.

Dipende dal tipo di testo

Il primo è facile, evidente e indiscutibile. Il calo dei lettori, la flessione del mercato. I dati non sono chiarissimi, chi dice che è del 10%, chi arriva fino al 50%. Dipende dal genere di libro. Ma il secondo aspetto è quello ancora più interessante. Perché è culturale. Ovvero la polverizzazione della lettura. E questo non dipende solo da Amazon ma è un processo che evolve da cinquant'anni. Perché il mio vecchio libraio chiuse la sua attività ? Perché le nuove librerie permettevano di"navigare" dentro i loro spazi, avevano moltissimi titoli, e si poteva scegliere. Mentre Giuseppe ti chiedeva, "desidera ?" le Feltrinelli modernizzavano i flussi culturali. I libri erano tanti, i percorsi erano personali. I processi mentali che portavano a comprare un libro erano imprevedibili e di per sé molto intelletuali, così eri in una libreria ma anche in una biblioteca. Con Amazon questo processo avviene prima. Tu navighi, pensi, cerchi, usi Google, attraverso la spazio del web in cerca di una storia, di un tema che ti appassiona. Lo fai senza pensare direttamente a un libro, ma poi incappi in un titolo. Non è nuovo, magari non è pubblicato da un editore che sta sui banconi dei librai, ma Amazon te lo offre, scontato, a casa tua, in un giorno. In apparenza non serve più un libraio, neppure un commesso, che non sa niente magari del libro, ma sa solo dove si trova e te lo va a cercare, a quello ora ci pensa l'algoritmo di Amazon. Tu scegli e paghi.

Le difficoltà del libraio

Ed è un catalogo sterminato, a totale disposizione. Ma senza mediazioni culturali. Che ne pensa di questo titolo ? E il libraio : "ho letto i precedenti volumi di questo autore e mi ha convinto".  I librai provano a combattere Amazon puntando sui nuovi titoli, su quello che si vende. Ma è una scialuppa che non li salva. Anzi. Amazon vince perché fa il contrario : vende tutto allo stesso modo. Non c'è un titolo seminascosto e uno impilato davanti all'ingresso. Ci vorrebbe molto di più. Ci sono troppi libri, e un libraio non può più leggerli. C'è troppo marketing, e il libraio non può difendersi. Ci sono i grandi editori che impongono le loro politiche, e il libraio è costretto a subirle. E poi c'è un mondo di libri, tutti assieme, tutti possibili, tutti in un giorno, a volte senza qualità, senza filtri, perché Amazon vende tutto allo stesso modo, anche i romanzi pubblicati a pagamento dagli autori velleitari. 2'300 librerie che chiudono sono troppe in cinque anni. Se continua così resteremo senza librerie. E sarà un impoverimento anche sociale : quello scambiare due chiacchiere con uno sconosciuto davanti a un libro, che era una bella cosa. Ma anche per quello ormai c'è Facebook, dove sono tutti critici letterari, tutti opinionisti, tutti autori, e tutti soli. Naturalmente.

La competizione che uccide la cultura di Roberto Cotroneo

Corriere del Ticino - 16.01.2020

Riflessione

In principio sono state le stellette che premiavano i migliori ristoranti, poi la mania di classificare tutto si è estesa ad ogni ambito, dal cinema alla scrittura - Ma non sempre ciò che svetta nelle  "charts" è sinonimo di qualità e non sempre questa competizione è sana. Agli inizi degli anni Novanta, Alberto Arbasino, scrittore importante, quasi un classico vivente, noto per il suo snobismo, il suo distacco, mi disse una cosa : "Hai mai giudicato un ristorante dal numero di coperti che fa ogni sera ?". Restai sorpreso : "cosa vuoi dire ?" "Voglio dire che questa moda delle classifiche dei libri è insensata. Come fai a giudicare un libro dal numero di copie chevende ?" Era elementare il ragionamento. Proprio in quegli anni gli inserti culturali dei giornali iniziavano a pubblicare ogni settimana i risultati dei libri più venduti, con delle proiezioni su campioni di librerie. Come si fa oggi con i sondaggi sulle percentuali dei partiti. Sembrava un gioco. Ma era la società che stava cambiando. Nessuno poteva immaginare da lì a poco che la cultura avrebbe subito un duro colpo da un'abitudine sociale che è connessa alle classifiche : l'idea del successo, del vincere e del perdere. La letteratura non dovrebbe avere un rapporto diretto con il successo. Per anni ci sono stati scrittori che il successo commerciale non lo hanno mai conosciuto, e sono stati autorevoli e letti in modo costante.

L'esclusività della tavola

Per anni, come diceva Arbasino, i ristoranti sono sempre stati scelti perché esclusivi. E per fare classifiche, per mettere qualcuno sul podio, si sono inventate le stellette, come le autorevolissime Michelin, o le forchette, i cucchiai, qualsiasi cosa che potesse dire : questo sì, questo meno, e questo no. Poi, piano piano, lo stesso pensiero è arrivato al cinema, e si sono inaugurate le stellette : cinque, quattro, una, da vedere, da non vedere, il botteghino, l'incasso, e tutto quanto ne consegue. Poi è arrivato il verdetto degli ascolti per le televisioni. Quanto farà Sanremo nel 2020 ? Un milione in più di Baglioni, o invece Amadeux perderà la sfida ? E ancora : ci sono i sì e i no di X-Factor, che escludono un artista o lo promuovono. C'è il grembiule di Master Chef : "Togliti il grembiule ! Sei fuori dalla cucina di Master Chef". E in tutti questi talent è sempre un profluvio di pianti. Uomini e donne, spesso adulti e persino anziani, che piangono perché passano il turno, che piangono perché devono uscire, che piangono perché il capo, lo Chef, li tratta con durezza o con sarcasmo. Ora, la letteratura, la poesia, la scrittura, sono cultura. Ed è cultura il cinema. E la musica, la canzone. Ed è cultura la cucina. Ed è tutto un gioco di idee, di contaminazioni, ma anche di pensieri. E di lentezze. Di attese, di ripensamenti, anche di guizzi, certo. Ma soprattutto di confronto, di discussione e distinguo. Ma i tempi della Tv non permettono questo, inventano di format che siano rapidi e spettacolari. Dove o si vince o si perde.

Più venduto uguale più valido ?

I libri entrano in classifica. Chi sta al primo posto conta, chi sta all'ultimo non conta nulla. I ristoranti vengono giudicati con parametri rigidi. Il cinema ha gli incassi. Dell'ultimo film di Checco Zalone, Tolo Tolo, si è parlato ogni giorno quasi solo di quanto incassava : ha superato i 40, poi i 50, poi i 60 milioni. Sanremo sarà un successo se supererà di uno spettatore quello condotto l'anno precedente, al di là dei meriti. Ed è facile capire che stiamo massacrando più di una generazione. E non perché stiamo puntando tutto sulla competività ma perché abbiamo mutuato il modello del gladiatore che si rivolge all'imperatore dentro il Colosseo. L'imperatore è il mercato, e il mercato è il successo. Una competizione spettacolare che si basa solo sull'eliminazione.

Una logica sportiva

Tutto viene dallo sport. Ma è normale che, ad esempio nel calcio, ci siano i 90 minuti della partita, un risultato, una classifica : e c'è chi vince e c'è chi perde. E i giornalisti sportivi sanno che questo e troppo semplice, ed è per questo che da anni ormai fanno filosofia : tutti i programmi sportivi si sono trasformati in palestre di ermeneutica. Ovvero analisi, commento, considerazioni, indipendentemente dal risultato finale. Ma mentre lo sport cerca di liberarsi dalla logica del perdente e del vincente, perché sarebbe alla lunga noiosa, abbiamo esteso a qualsiasi altra cosa quel modello. Con che risultati ? E ancora presto per dirlo. Ma certo con un mutamento dei comportamenti sociali. L'idea della mediazione, il ragionamento su quello che si è fatto, la capacità di lettura delle cose, il non volersi fermare alla soluzione più ovvia hanno lasciato il posto a un mantra contemporaneo : chi vince ha ragione. E vince chi ha successo. E ha successo chi raccoglie consenso. E il consenso è tutto. E questo, senza fare paragoni storici che saltano agli occhi a chiunque, è pericoloso e preoccupante. Bertolt Brecht è l'autore di una celebre frase, che andrebbe scritta su tutti i muri, ovunque : "Ci sedemmo dalla parte del torto visto che tutti gli altri posti erano occupati". La cultura è il nostro futuro, la nostra ancora di salvezza, e non è una gara. E una risorsa. Un modo di capire e vivere il mondo. Deve essere insegnato, prima che sia troppo tardi.
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